Alice Zanin
Mi occupo di scultura da più di dieci anni e dal 2012 creo opere con la tecnica della carta colla giapponese. Ogni pezzo che realizzo è un pezzo unico. Si inizia da uno schizzo quotato le cui misure vengono riportate nell’armatura di fil di ferro; i volumi sono plasmati in carta così come le coperture che realizzo selezionando accuratamente le carte di giornale per cromia e accostandole sulla superficie dell’opera come un mosaico. Questa tecnica crea un effetto particolare che va a sostituire la tradizionale copertura pittorica della cartapesta.
Il concetto di Fragile bellezza credo possa essere intimamente connesso al mio lavoro. Parlare di opere di carta che fondamentalmente vanno a inglobare anche una porzione di aria sicuramente richiama il concetto di una bellezza fragile. In questo caso è bizzarro il fatto che un’opera che nasce di carta venga riproposta in un materiale, il metallo, che è molto più resistente. Tuttavia l’opera conserva in se’ il concetto di bellezza fragile per il fatto di essere piccola ed estremamente delicata, oltre che indossabile, andando quindi a completare un’altra accezione di bellezza che è quella personale.
La collaborazione con un’azienda orafa è stata per me una novità. Mi piaceva molto l’idea di vedere come il mio lavoro potesse essere reinterpretato e mi appassionava affrontare la difficoltà di adattare un’opera d’arte a vincoli plastici imposti da materiali diversi dalla cartapesta. Sicuramente, dopo l’entusiasmo iniziale, sono stata colta dall’ansia di riuscire a reinterpretare in oreficeria un mio pezzo d’arte, in particolar modo quella linea molto sottile che hanno in generale tutti i miei lavori. C’è stata grande disponibilità da parte di Gianni Ceva. Ci siamo confrontati molte volte nel corso della lavorazione su ogni aspetto e trovo che il risultato sia molto positivo.
Esperienze come questa danno la possibilità di crescere come artista, di spaziare e di aprirsi a nuove opportunità e conoscenze.
Se disegnerei una collezione di gioielli? Forse sì, ma non senza prendermi il tempo di studiare cosa già è stato fatto in passato. Ricordo di aver visto dei gioielli meravigliosi di Salvador Dalì abbinati ad abiti di Elsa Schiapparelli. Sarebbe stimolante prendere spunto da esperienze che hanno segnato il percorso di una collaborazione tra l’arte intesa in senso stretto e il gioiello.
Gianni Ceva
La nostra azienda è una piccola realtà famigliare. Fu fondata da nostro nonno negli anni Venti e ancora oggi continuiamo a produrre gioielli con la stessa filosofia di allora pur essendoci aperti, nel corso degli anni, al mercato estero. Il nostro laboratorio è una piccola realtà. Il canone che teniamo sempre presente è quello della qualità e per quello collaboriamo con disegnatori ed una rete di piccoli laboratori esterni gestiti da artigiani che si sono formati presso di noi. Anche la distribuzione avviene in piccoli negozi che seguiamo direttamente.
Ci siamo avvicinati al progetto Fragile Bellezza con entusiasmo. Per noi la fragile bellezza è quel filo sottile che parte dal cervello e arriva alla mano. Inizialmente c’è l’idea. Sulla base di quella viene creata una bozza e dalla bozza si passa al disegno, ma solo la mano sapiente del bravo orafo è in grado di dare volume e dimensione a quella bellezza. La fragile bellezza diventa tangibile solo quando prende forma.
Abbiamo scelto di lavorare con Alice Zanin affascinati dai suoi lavori. Mettere in opera le sue idee è stata una sfida interessante. La linea che corre tra oggetto e opera d’arte è sottile, ma non è facile, dal punto di vista della manualità, riuscire a sviluppare un’opera che non nasce per il nostro settore e per la quale quindi non siamo preparati. Noi creiamo anelli, orecchini, bracciali, collane, non sculture. Questo è qualcosa di completamente diverso, ma è stata una bellissima esperienza che saremmo felici di replicare.